mercoledì 9 novembre 2016

Elezioni USA 20161109

Da Mosca, Mark Bernardini, uno sguardo diverso sulle elezioni statunitensi.

Con tutta l’impossibilità di provare reali interessi economici o patti politici che leghino a Mosca il neopresidente repubblicano alla Casa Bianca, una cosa è certa: Trump non ha mai incontrato Putin.

Lo aveva invitato alla serata di Miss Universo che, nel 2013, aveva portato a Mosca, ma Putin declinò all’ultimo momento l’invito e fece arrivare in dono al miliardario americano una scatoletta di lacca, tipica dell’artigianato russo, con un bigliettino di “calorosi saluti”.

Trump ha promesso un’America meno interventista e proiettata più all’interno; ha auspicato un disimpegno degli Usa dalla Nato qualora gli alleati non inizino a contribuire in modo maggiore alle spese di difesa; ha parlato in favore di un ripristino delle relazioni e del dialogo con Mosca per combattere l’Isis e ha dichiarato che non vorrebbe vedere Washington intervenire automaticamente al fianco dei paesi Baltici che affermano di essere minacciati dalla Russia.

Addirittura, ha invocato l’aiuto della Russia per andare più a fondo nello scandalo e-mail dell’avversaria democratica Hillary Clinton e ha messo in dubbio che esista una campagna di hackeraggio lanciata dal Cremlino contro gli Usa; sulla Siria si è rifiutato di condannare i raid russi e siriani su Aleppo e ha detto di preferire una Crimea russa a una terza guerra mondiale per restituirla all’Ucraina.

Last not least, Trump ha espresso più volte apprezzamenti personali su Putin (“è stato un leader molto più di quanto sia stato il nostro capo Obama”) e si è detto disposto a invitarlo negli Stati Uniti.

Mosca ha sempre definito le sue parole come “retorica da campagna elettorale”, ma Putin ha comunque commentato: “Sostiene di voler far balzare a un altro livello le relazioni con la Russia. Come potremmo non vedere favorevolmente questa prospettiva?”.

Apriti cielo, questo è bastato perché tutti i media italiani si scatenassero nel parlare di un matrimonio.

Non è questione di tifare per Trump: la notizia è che ha perso la Clinton, l’establishment, i media mainstream, i radicalchic e tutti i loro lacchè, negli USA e – anche – in Italia. Ecco: di questo, si può essere moderatamente soddisfatti.

L’esito in larga misura è stato determinato dalla presa di posizione di quella classe operaia che più ha sofferto e sta soffrendo per la situazione economica.

Mi riferisco alla “cintura arrugginita”, come viene definita in quegli Stati nelle periferie dei quali per chilometri e chilometri si distendono le strutture metalliche arrugginite delle fabbriche dismesse.

E’ l’ex fascia industriale americana dove lavorava una moltitudine di persone ora disoccupate.

Una categoria che per anni si è disinteressata delle elezioni, mentre quest’anno per la prima volta è andata a votare.

Come già detto, sono state delle elezioni di protesta, contro l’establishment, in cui ha detto la sua la classe operaia, che dissente dall’ingerenza degli USA in ogni altro Paese del mondo, senza preoccuparsi delle cose di casa loro.

Con un telegramma a Trump e con una dichiarazione ufficiale in occasione della consegna delle credenziali a 19 neoambasciatori in Russia, Putin ha espresso la convinzione che l’instaurazione di un dialogo costruttivo tra Mosca e Washington, basata sui principi del reciproco rispetto e del tenere in debito conto le reciproche posizioni, corrisponde agli interessi dei popoli della Federazione Russa, degli Stati Uniti d’America e di tutta la comunità mondiale: la Russia spera di lavorare insieme per portare i rapporti russo-americani fuori dalla crisi, risolvere le attuali questioni all’ordine del giorno internazionale e cercare delle risposte efficaci alle sfide della sicurezza globale. Non sarà facile, considerato il degrado in cui versano purtroppo i citati rapporti, pur non essendo colpa dei russi.

La Russia però è pronta e desidera ricostruirli a tutto campo, facendo quel che dipende da lei, per uno sviluppo e una sicurezza mondiali sostenibili.

Michael Mc Faul, ex ambasciatore USA in Russia, vicinissimo alla Clinton e alla famiglia di quest’ultima, aveva scritto in Twitter: “Putin si è intrufolato con successo nelle elezioni statunitensi”.

Stamane ha cancellato il suo twit, dimenticando che la rete e gli screenshot non perdonano.

Analogamente si comportano molti altri politici che avevano sposato la causa della Clinton: quelli ucraini, per esempio, compreso Arsen Avakov, ministro degli interni ucraino, avevano pubblicato quest’estate nei loro social network delle vignette in cui Trump e Putin si baciavano “alla Brežnev”.

Spariti, in fretta e furia.

La definizione di “razzista” è stata cancellata dall’Huffington Post; idem per Gérard Araud, ambasciatore francese negli USA.

Di mio, posso solo aggiungere che è tutto un florilegio: Hollande, Merkel, Renzi, Schultz, Tusk, May…

E subito, visto che Trump aveva promesso di riconoscere l’adesione della Crimea alla Federazione Russa, hanno rincarato le sanzioni contro la Russia su indicazione di Obama, presidente uscente, e della Clinton, candidata trombata.

Diciamocela: entro la fine del 2017, verranno spazzati via tutti dalle rispettive elezioni e, con rare eccezioni, sarà la destra a giungere al potere, con elezioni del tutto democratiche.

Nonostante le mie convinzioni personali, ritengo che sia giusto così.

Quando la destra fa la destra e la sinistra fa la destra, il popolo predilige i professionisti ai dilettanti.

La sinistra deve reimparare a fare gli interessi della classe operaia, dei proletari, dei diseredati.

Da Mosca per ora è tutto, da Mark Bernardini buon proseguimento per chi può.

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